Teatralità

theaomai

Guardo. Questo è teatro, theatron, theaomai, “guardo”. L’intimo e fulgido rapporto tra l’occhio e la sua parte, il palcoscenico, ove i drammi si dimenano in energiche convulsioni sonore, le voci degli attori e i loro gesti, molecole d’aria che muovono in aria altre molecole – la polvere delle quinte. Il sipario si fa pesante coperchio d’un roccioso vaso di Pandora, che si spancia fra le mani del pubblico al tintinnare delle monete al botteghino – seppure ci fossero monete sempre e per ogni spettacolo; spesso, sempre più, sono gratuiti, gli spettacoli.

Quando sei lì su, sul palco, sei solo con le tue emozioni. Che sia Dioniso, che sia Apollo, o le Muse a provocartele, io non lo so; eppure stai lì al buio fra i fari, t’imbestialisci, t’imputridisci o diventi dolce e fastidioso come il pianto d’un lattante, solo con le tue emozioni. Non è un che di individuale, ma cosmico: è il kosmos che ti è intorno a muoverti le interiora, a esploderti dentro, fra le ossa e le arterie e i muscoli, per poi divampare nella glottide; e ogni prova, ogni istante trascorso a ripetere ciasciuna parola, ciascuna frase non è che il preciso, profondo, sacro rituale che di giorno in giorno, volta per volta ti porta al catartico e bestiale momento dell’apoteosi, la Scena, lo Spettacolo, il Momento. E solo allora comprendi il Senso, vi è un Dio cui tu tendi e che tende a te in prorompenti empatie che orgiasticamente danzano e vibrano sulla moquette bordeaux del loggione e della platea.

Teatro è la Religione del “Guardo”.

Guardo
ciò che accade
ciò che non accade
la macchia di sugo che l’attrice in seconda fila ha sulla spallina sinistra
il succhiotto del ballerino a destra
il ciuffo attore mal pettinato
il trucco – è così preciso – della protagonista
i piedi scalzi e sporchi del choros
il viso del mio amore, che assieme a me guarda
lo Spettacolo.