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Ecco cosa accade poco prima e poco dopo la morte
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Se la morte è una delle poche certezze della vita, uno dei misteri antropologici che da sempre …
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la registrazione di questo video,l'abbiamo decisa …
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YOGA SUTRA
Forum di Paranormale Misteri Meditazione Spiritualità Yoga e Psiche :: Filosofia, maestri antichi e recenti
Pagina 1 di 1
YOGA SUTRA
L'opera consiste in una raccolta di 196 aforismi, ovvero brevi e significative frasi concepite per essere memorizzate con facilità, come era costume presso i maestri hindu, ove la tradizione orale era il mezzo principale per condividere e tramandare la conoscenza.
Dell'autore, il filosofo Patañjali, nulla si sa oltre le leggende, e difficile risulta anche una datazione accurata dei sūtra stessi. Dal fatto che alcuni di questi contengano accenni alle scuole del Grande Veicolo del Buddhismo, l'accademico Gavin Flood conclude che l'opera fu concepita non prima del I secolo BCE e non dopo il V secolo CE.
Altri studiosi hanno ritenuto di identificare questo filosofo con un omonimo grammatico, l'autore del Mahābhāshya, che potrebbe invece essere vissuto qualche secolo prima:
Il testo è suddiviso in quattro sezioni (pāda:
Samādhi Pāda (समाधिपादः), 51 sūtra
viene introdotto e illustrato lo Yoga come mezzo per il raggiungimento del samādhi, lo stato di beatitudine nel quale, sperimentando una differente consapevolezza delle cose, si consegue la liberazione dal "ciclo delle rinascite" (saṃsāra).
Sādhana Pāda (साधानपादः), 55 sūtra
vengono descritti il Kriyā Yoga (lo "Yoga dell'agire", noto anche come Karma Yoga) e l'Aṣṭāṅga Yoga (lo "Yoga degli otto stadi", noto anche come Raja Yoga, lo "Yoga regale").Vibhūti Pāda (विभूतिपादः), 56 sūtra
si prosegue con la descrizione delle ultime fasi del percorso yogico, e vengono esposti i "poteri sovraumani" (vibhūti) che è possibile conseguire con una pratica corretta dello yoga.Kaivalya Pāda (कैवल्यपादः), 34 sūtra
Kaivalya vuol dire letteralmente "separazione", e si allude qui alla separazione fra spirito (puruṣa) e materia (prakṛti).
Lo storico delle religioni Mircea Eliade così sintetizza il contributo del filosofo:
« Lo Yoga classico comincia dove finisce il Sāṃkhya. Patañjali fa sua quasi integralmente la dialettica Sāṃkhya, ma non crede che la conoscenza metafisica possa, da sola, portare l'uomo alla liberazione suprema. »
Entrambi i sistemi, lo Yoga e il Sāṃkhya (un altro dei sei darśana dell'induismo), hanno infatti come fine quello di voler liberare l'uomo dalla sofferenza insita nella condizione umana e quindi dal ciclo delle rinascite. Il Sāṃkhya afferma che a tale scopo sia sufficiente la conoscenza metafisica o Gnosi, il riconoscere cioè che esistono due principi ultimi, la materia e lo spirito, e che questi sono in realtà distinti fra loro, essendo lo spirito spettatore puro e passivo delle dinamiche della materia, materia che è ciò di cui siamo fatti, mente e corpo.
Lo stesso argomento in dettaglio: Sāṃkhya.
Patañjali ritiene invece insufficiente la sola conoscenza, e nei suoi Yoga Sūtra espone una tecnica psicofisiologica il cui fine è quello di superare gli stati ordinari della coscienza, per realizzare uno stato soggettivo che è sia extrarazionale sia sovrasensoriale (samādhi), grazie al quale ottenere la liberazione (mokṣa).
Samādhi Pāda Yoga
Nel sūtra I.2 Patañjali definisce lo Yoga come "soppressione (nirodhaḥ) degli stati (vṛtti) psicomentali (citta)".
Il termine adoperato dal filosofo, citta, è la "massa psichica" intesa come ciò che elabora l'insieme di tutte le sensazioni, dall'esterno e dall'interno.
Vṛtti vuol dire letteralmente "vortice": ciò cui Patañjali si sta riferendo è l'attività ordinaria del citta, continuamente trascinata dal pensiero e dalle sensazioni, ed è questo incessante lavorio che lo Yoga si propone di inibire, risultato non fine a sé stesso ma indispensabile traguardo per il conseguimento del vero obiettivo: l'affrancamento dal saṃsāra, la liberazione.
Nella filosofia del Sāṃkhya, che come si è detto Patañjali adotta, citta è l'insieme formato da buddhi (l'intelletto; l'intelligenza discriminante), ahamṁkāra (il senso dell'Io; l'Ego), manas (la mente; il senso interno che sovrintende agli altri dieci sensi, i cinque di percezione e i cinque di azione).
Il filosofo e mistico Vivekananda usa il termine "materiale mentale" (mind-stuff) per tradurre citta, l'insieme costituito dalle suddette tre categorie del Sāṃkhya. Quando uno stimolo giunge al citta vengono prodotte le vṛtti, e tutto ciò che ordinariamente noi conosciamo non è che una reazione a quegli stimoli: le vṛtti sono il nostro universo. Tacitare queste ultime consente al citta di tornare a quello stato di purezza cui naturalmente tende, il che è poi il fine dello Yoga espresso nella terminologia del Sāṃkhya.
Il maestro yoga B. K. S. Iyengar preferisce tradurre citta con "coscienza", essendo essa veicolo dell'osservazione, dell'attenzione e della ragione.
Cinque sono gli stati psicomentali (I.6): giusta conoscenza (la mente, tramite la percezione, l'inferenza e l'autorità, produce pensieri non contraddittori); errore (la mente costruisce pensieri non aderenti alla realtà); astrazione (la mente si astrae dalla realtà e tenta di descriverla verbalmente); sonno (la mente elabora in assenza di oggetti concreti); memoria (la mente rievoca esperienze precedenti).
La pratica costante permette di inibire questi possibili stati della mente.
Dell'autore, il filosofo Patañjali, nulla si sa oltre le leggende, e difficile risulta anche una datazione accurata dei sūtra stessi. Dal fatto che alcuni di questi contengano accenni alle scuole del Grande Veicolo del Buddhismo, l'accademico Gavin Flood conclude che l'opera fu concepita non prima del I secolo BCE e non dopo il V secolo CE.
Altri studiosi hanno ritenuto di identificare questo filosofo con un omonimo grammatico, l'autore del Mahābhāshya, che potrebbe invece essere vissuto qualche secolo prima:
Il testo è suddiviso in quattro sezioni (pāda:
Samādhi Pāda (समाधिपादः), 51 sūtra
viene introdotto e illustrato lo Yoga come mezzo per il raggiungimento del samādhi, lo stato di beatitudine nel quale, sperimentando una differente consapevolezza delle cose, si consegue la liberazione dal "ciclo delle rinascite" (saṃsāra).
Sādhana Pāda (साधानपादः), 55 sūtra
vengono descritti il Kriyā Yoga (lo "Yoga dell'agire", noto anche come Karma Yoga) e l'Aṣṭāṅga Yoga (lo "Yoga degli otto stadi", noto anche come Raja Yoga, lo "Yoga regale").Vibhūti Pāda (विभूतिपादः), 56 sūtra
si prosegue con la descrizione delle ultime fasi del percorso yogico, e vengono esposti i "poteri sovraumani" (vibhūti) che è possibile conseguire con una pratica corretta dello yoga.Kaivalya Pāda (कैवल्यपादः), 34 sūtra
Kaivalya vuol dire letteralmente "separazione", e si allude qui alla separazione fra spirito (puruṣa) e materia (prakṛti).
Lo storico delle religioni Mircea Eliade così sintetizza il contributo del filosofo:
« Lo Yoga classico comincia dove finisce il Sāṃkhya. Patañjali fa sua quasi integralmente la dialettica Sāṃkhya, ma non crede che la conoscenza metafisica possa, da sola, portare l'uomo alla liberazione suprema. »
Entrambi i sistemi, lo Yoga e il Sāṃkhya (un altro dei sei darśana dell'induismo), hanno infatti come fine quello di voler liberare l'uomo dalla sofferenza insita nella condizione umana e quindi dal ciclo delle rinascite. Il Sāṃkhya afferma che a tale scopo sia sufficiente la conoscenza metafisica o Gnosi, il riconoscere cioè che esistono due principi ultimi, la materia e lo spirito, e che questi sono in realtà distinti fra loro, essendo lo spirito spettatore puro e passivo delle dinamiche della materia, materia che è ciò di cui siamo fatti, mente e corpo.
Lo stesso argomento in dettaglio: Sāṃkhya.
Patañjali ritiene invece insufficiente la sola conoscenza, e nei suoi Yoga Sūtra espone una tecnica psicofisiologica il cui fine è quello di superare gli stati ordinari della coscienza, per realizzare uno stato soggettivo che è sia extrarazionale sia sovrasensoriale (samādhi), grazie al quale ottenere la liberazione (mokṣa).
Samādhi Pāda Yoga
Nel sūtra I.2 Patañjali definisce lo Yoga come "soppressione (nirodhaḥ) degli stati (vṛtti) psicomentali (citta)".
Il termine adoperato dal filosofo, citta, è la "massa psichica" intesa come ciò che elabora l'insieme di tutte le sensazioni, dall'esterno e dall'interno.
Vṛtti vuol dire letteralmente "vortice": ciò cui Patañjali si sta riferendo è l'attività ordinaria del citta, continuamente trascinata dal pensiero e dalle sensazioni, ed è questo incessante lavorio che lo Yoga si propone di inibire, risultato non fine a sé stesso ma indispensabile traguardo per il conseguimento del vero obiettivo: l'affrancamento dal saṃsāra, la liberazione.
Nella filosofia del Sāṃkhya, che come si è detto Patañjali adotta, citta è l'insieme formato da buddhi (l'intelletto; l'intelligenza discriminante), ahamṁkāra (il senso dell'Io; l'Ego), manas (la mente; il senso interno che sovrintende agli altri dieci sensi, i cinque di percezione e i cinque di azione).
Il filosofo e mistico Vivekananda usa il termine "materiale mentale" (mind-stuff) per tradurre citta, l'insieme costituito dalle suddette tre categorie del Sāṃkhya. Quando uno stimolo giunge al citta vengono prodotte le vṛtti, e tutto ciò che ordinariamente noi conosciamo non è che una reazione a quegli stimoli: le vṛtti sono il nostro universo. Tacitare queste ultime consente al citta di tornare a quello stato di purezza cui naturalmente tende, il che è poi il fine dello Yoga espresso nella terminologia del Sāṃkhya.
Il maestro yoga B. K. S. Iyengar preferisce tradurre citta con "coscienza", essendo essa veicolo dell'osservazione, dell'attenzione e della ragione.
Cinque sono gli stati psicomentali (I.6): giusta conoscenza (la mente, tramite la percezione, l'inferenza e l'autorità, produce pensieri non contraddittori); errore (la mente costruisce pensieri non aderenti alla realtà); astrazione (la mente si astrae dalla realtà e tenta di descriverla verbalmente); sonno (la mente elabora in assenza di oggetti concreti); memoria (la mente rievoca esperienze precedenti).
La pratica costante permette di inibire questi possibili stati della mente.
Ultima modifica di Lancillotto2013 il 1/7/2017, 22:10 - modificato 2 volte.
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Colui che comprende creazione e dissoluzione, apparizione e scomparsa degli esseri, saggezza e ignoranza, deve essere chiamato Bhagavan. Le armi non fendono il Sé, il fuoco non lo brucia, non lo bagnano le acque ne lo secca il vento; Egli è detto il non manifesto, l'impensabile, immutabile, insondabile, impermeabile, non soggetto a Darma e Karma.
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Reputazione : 5943
Data d'iscrizione : 11.02.15
Kaivalya
Kaivalya
Nel settimo sūtra di questa sezione, Patañjali così scrive:
« Le azioni di uno yogi non sono né bianche né nere. Le azioni degli altri sono di tre tipi: bianche, nere e grigie. »
(Yoga Sūtra, IV.7])
Questa distinzione in tre parti del karma (le "azioni") ha una sua corrispondenza con le tre guṇa, le tre componenti, o qualità, della prakṛti ("materia"): secondo il Sāṃkhya le trasformazioni che la materia subisce nel tempo (pariṇāma, "evoluzione") sono dovute all'avvicendarsi di queste tre componenti fondamentali: tamas, rajas, sattva.
Ai primordi del tempo, le tre guṇa giacciono in perfetto equilibrio fra loro: è lo stato della materia immanifesta, il tempo non esiste. Quando questo equilibrio si altera, la materia diventa manifesta, il tempo ha inizio.
Gli aspetti della materia non sono se non l'effetto della colorazione che viene dalle guṇa, esseri viventi non esclusi. Anche le nostre azioni (karma) sono perciò colorate dalle guṇa: nere (tamas), grigie (rajas) e bianche (sattva).
Così non è per lo yogin che ha raggiunto la perfezione: egli è al di là delle guṇa, il che equivale a dire che il karma, la legge di causa ed effetto, non lo vincola più, è libero. Nel commentare questo sūtra, Iyengar afferma che è qui che viene evidenziato il vero significato del Kaivalya Pāda.
Il tema del libero agire ha una sua importanza centrale in un mondo che è dominato dalla legge del karma, e l'affermazione di Patañjali non è dissimile da quella evidenziata in modo forse più incisivo da Krishna nella Bhagavadgītā:
« I Veda parlano delle tre qualità universali o guṇa. O Arjuna, liberati dalle tre qualità e dalle coppie di opposti. Sempre bilanciato e libero dal pensiero di ricevere e mantenere, stabilisciti nel Sé. Tu hai diritto soltanto all'azione, e mai ai frutti che derivano dalle azioni. Non considerarti il produttore dei frutti delle tue azioni, e non permettere a te stesso d'essere attaccato all'inattività. »
(Bhagavadgītā, II.45 e II.47)
Nei successivi sūtra Patañjali spiega che gli effetti, o frutti, delle azioni passano da una vita alla successiva avendo come substrato la memoria (smṛti) (IV.9) e presentandosi come desideri (IV.10): passato e futuro sono perciò reali come lo è il presente, gli stati del tempo corrispondono a differenti combinazioni delle guṇa (IV.12-13), il cui gioco ha come effetto di produrre l'illusione del tempo.
Nel settimo sūtra di questa sezione, Patañjali così scrive:
« Le azioni di uno yogi non sono né bianche né nere. Le azioni degli altri sono di tre tipi: bianche, nere e grigie. »
(Yoga Sūtra, IV.7])
Questa distinzione in tre parti del karma (le "azioni") ha una sua corrispondenza con le tre guṇa, le tre componenti, o qualità, della prakṛti ("materia"): secondo il Sāṃkhya le trasformazioni che la materia subisce nel tempo (pariṇāma, "evoluzione") sono dovute all'avvicendarsi di queste tre componenti fondamentali: tamas, rajas, sattva.
Ai primordi del tempo, le tre guṇa giacciono in perfetto equilibrio fra loro: è lo stato della materia immanifesta, il tempo non esiste. Quando questo equilibrio si altera, la materia diventa manifesta, il tempo ha inizio.
Gli aspetti della materia non sono se non l'effetto della colorazione che viene dalle guṇa, esseri viventi non esclusi. Anche le nostre azioni (karma) sono perciò colorate dalle guṇa: nere (tamas), grigie (rajas) e bianche (sattva).
Così non è per lo yogin che ha raggiunto la perfezione: egli è al di là delle guṇa, il che equivale a dire che il karma, la legge di causa ed effetto, non lo vincola più, è libero. Nel commentare questo sūtra, Iyengar afferma che è qui che viene evidenziato il vero significato del Kaivalya Pāda.
Il tema del libero agire ha una sua importanza centrale in un mondo che è dominato dalla legge del karma, e l'affermazione di Patañjali non è dissimile da quella evidenziata in modo forse più incisivo da Krishna nella Bhagavadgītā:
« I Veda parlano delle tre qualità universali o guṇa. O Arjuna, liberati dalle tre qualità e dalle coppie di opposti. Sempre bilanciato e libero dal pensiero di ricevere e mantenere, stabilisciti nel Sé. Tu hai diritto soltanto all'azione, e mai ai frutti che derivano dalle azioni. Non considerarti il produttore dei frutti delle tue azioni, e non permettere a te stesso d'essere attaccato all'inattività. »
(Bhagavadgītā, II.45 e II.47)
Nei successivi sūtra Patañjali spiega che gli effetti, o frutti, delle azioni passano da una vita alla successiva avendo come substrato la memoria (smṛti) (IV.9) e presentandosi come desideri (IV.10): passato e futuro sono perciò reali come lo è il presente, gli stati del tempo corrispondono a differenti combinazioni delle guṇa (IV.12-13), il cui gioco ha come effetto di produrre l'illusione del tempo.
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Colui che comprende creazione e dissoluzione, apparizione e scomparsa degli esseri, saggezza e ignoranza, deve essere chiamato Bhagavan. Le armi non fendono il Sé, il fuoco non lo brucia, non lo bagnano le acque ne lo secca il vento; Egli è detto il non manifesto, l'impensabile, immutabile, insondabile, impermeabile, non soggetto a Darma e Karma.
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Re: YOGA SUTRA
Nel Yogatattva Upanishad (16-18) si legge,
"Kaivalya è la vera natura del sé, lo stato supremo (paramam padam).
E 'senza parti ed è in acciaio.
E' l'intuizione diretta della reale esistenza, intelligenza e beatitudine . esso è privo di nascita, l'esistenza, la distruzione, il riconoscimento e l'esperienza.
Questo si chiama conoscenza ".
Alcuni studiosi Veerashaiva del tempo, come Nijaguna Shivayogi (c. 1500) hanno tentato di unificare Veerashaivism con la Advaita di Shankara.
-----
TESTI DA ANALIZZARE:
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CULTURE DA LEGGERE
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"Kaivalya è la vera natura del sé, lo stato supremo (paramam padam).
E 'senza parti ed è in acciaio.
E' l'intuizione diretta della reale esistenza, intelligenza e beatitudine . esso è privo di nascita, l'esistenza, la distruzione, il riconoscimento e l'esperienza.
Questo si chiama conoscenza ".

Alcuni studiosi Veerashaiva del tempo, come Nijaguna Shivayogi (c. 1500) hanno tentato di unificare Veerashaivism con la Advaita di Shankara.

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il Kaivalya
Il Kaivalya pada
Il quarto libro: l’isolamento, la liberazione
Questo libro è splendido e non richiede quasi alcuna indicazione di lettura anche perché
molti termini sanscriti sono stati introdotti in precedenza. Kaivalya sta per isolamento,
stato della coscienza, non c’è più confusione con il mentale, l’ignoranza sulla nostra vera
natura è caduta, la liberazione.
4.1 Le realizzazioni (siddhi) sono il risultato della nascita, delle droghe, del mantra,
della consapevolezza (samadhi).
4.2 La trasformazione (parinamah, il passaggio, il movimento) da una condizione (jati)
in un’altra avviene mediante il fluire delle proprie potenzialità naturali. (Prakriti)
4.3 Il fluire avviene perché rimovendo gli ostacoli come fa il contadino che smuove la
diga per far fluire l’acqua nei campi.
La trasformazione ci dice Patanjali avviene rimovendo l’identificazione con il principale ostacolo l’ego. Cioè esercitando la consapevolezza (samadhi) sull’ostacolo si realizza (siddhi) il kaivalya (la liberazione).
4.4 Dall’ego discendono le diverse personalità
4.5 L’ego ne è la fonte
4.6 Dalla meditazione nasce la mente libera da identificazioni (anashayam,priva di
contenuti, costruzioni mentali).
4.7 L’azione (karma) dello yiogin non è ne bianca ne nera è triplice (bianca, nera, grigia)
negli altri.
4.8 In funzione di ciò si manifestano quelle impressioni (vasana) per le quali le
condizioni sono favorevoli.
4.9 Poiché le impressioni (samskara) permanenti nella memoria (smrti) possono
risorgere(sono latenti) benché si siano cambiati gli eventi, i luoghi, il tempo.
4.10 La produzione delle impressioni è permanente, è alimentata dall’attaccamento a vivere.
4.11 Poiché le impressioni (vasana) dipendono da causa effetto, scompaiono allo scomparire della loro causa.
Le cause sono le klesa (avidya, asmita, dvesha, raga, abhinivesha) vedi sutra 2.3, gli effetti
sono le Vasana il loro deposito nella memoria smrti crea i samskara.
Le vasana sono quindi l’espressione del desiderio, dell’avversione, movimenti della psiche
che si depositano, movimenti del corpo, delle emozioni, del pensiero, quando da semi
depositati nell’inconscio samskara, si realizzeranno le giuste condizioni questi da latenti
germineranno e diventeranno nuovamente dinamiche della psiche, azioni.
Si formano vere proprie strutture, rigidità della memoria, abitudini a ripetere ad entrare nello stesso schema, condizionamenti.
I klesa creano circoli viziosi che mantengono e rafforzano la sofferenza.
Il movimento dell’energia che gli corrisponde è citta-vrtti.
4.12 Il passato e il futuro sono espressione della vera natura della realtà (il presente) e si
esprimono a seconda delle condizioni (dharma).
4.13 Le potenzialità attuali, manifeste o potenziali non manifeste, sono espressione della realtà fenomenica (guna).
4.14 L’essenza dell’oggetto, unicità, consiste nel suo continuo cambiamento. La realtà
esiste ma è in continuo cambiamento.
4.15 L’oggetto è medesimo (così com’è) sembra differente a causa delle diversità delle
cognizioni, sentieri, seguiti dalle menti. (citta).
4.16 Un oggetto non dipende da una sola mente allora cosa ne accadrebbe se non fosse
conosciuto?
4.17 Il conoscitore e il conosciuto sono la realtà vivente (vastu) si conoscono quando ‘la
passione naturale’ (uparaga)li unisce( la gioia di essere uniti).
Può essere utile rileggere il sutra 2.18
4.18 Le modificazioni della coscienza (citta-vrtti) sono conosciute dalla coscienza (purusa) a causa della sua immobilità. C’è un’energia più ‘stabile’ più profonda che osserva il mentale.
4.19 La mente (citta) non è auto illuminante ( non si rischiara da sola) poiché è
percepibile.
Essa è strumento, i soggetto è la coscienza, in noi generalmente la coscienza è passiva e il
mentale è attivo, si tratta di invertire la coscienza diviene attiva, il mentale passivo. (
Citando liberamente Gerard Bliz ).
4.20 E’ impossibile che sia ambedue (avidya) ciò che percepisce e il percepito
contemporaneamente.
4.21 Se si postulasse una seconda mente che illuminasse la prima si avrebbe la cognizione (buddhi) di una cognizione (la descrizione di una descrizione) e la confusione dei ricordi (tra le descrizioni).
4.22 La conoscenza della propria natura, tramite l’auto cognizione si ha quando la
coscienza non si confonde con i movimenti da un luogo all’altro della mente (citta).
4.23 La coscienza comprende ogni cosa, perché è in grado di vedere il soggetto, l’oggetto
il conosciuto, la percezione la colorazione.
4.24 La coscienza, sebbene colorata da numerose impressioni (vasana), comprende il
mentale a causa della loro associazione.
4.25 In colui che vede la distinzione tra la coscienza, il sé, e la natura del mentale, si arresta il movimento del mentale che cerca il sé.
4.26 Allora la coscienza incline alla discriminazione (viveka) protende alla liberazione
(kaivalya).
4.27 Quando non si discrimina (non si è consapevoli) sorgono delle identificazioni (attaccamento agli oggetti, pratyaya) in base alle impressioni depositate (samskara).
4.28 Queste impressioni possono essere eliminate con gli stessi mezzi descritti a
proposito delle formazioni mentali negative (klesa).
I mezzi vengono descritti dal sutra 2.11 al sutra 2.25, può essere interessante ritornare alla
lettura di questi sutra.
4.29 Quando non vi è più interesse nemmeno per gli stati più elevati di grazia (prasam)
ottenuti con la meditazione dalla discriminazione sorge la consapevolezza profonda delle proprietà (dharma).
4.30 Segue allora la liberazione (nivrtti) dalle afflizioni (Klesa, maculazioni) e dal
deposito karmico (karma).
4.31 Allora, in conseguenza della rimozione di ogni confusione e di tutte le impurità, si
comprende che ciò che si conosce attraverso la mente è poca cosa rispetto all’illuminazione.
4.32 Allora la percezione dei fenomeni (guna) (abituale) giunge a termine, si esaurisce il
loro scopo (permettere la dualità).
4.33 Il processo (il momento presente) è la successione dei cambiamenti che si
verificano di momento in momento.
4.34 La liberazione (kaivalyam) è lo stabilirsi dell’energia del vedere (citsakter) della
coscienza nella sua vera natura (svarupa pratisha), il ritorno della manifestazione (guna)
alla sua condizione originale vuota (sunyam).
FONTE [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]
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